Sono passati quasi sei anni dalla scomparsa di Alexander McQueen, personalità gotica e genio innovatore, morto suicida nella sua abitazione di Londra all’età di 40 anni.
La morte di McQueen lasciò incredulo il fashion system che, ancora oggi, esalta il suo estro e le sue creazioni uniche con mostre (famosa è quella allestita nel 2013 al Victoria and Albert Museum di Londra) e libri dedicati alla sua breve, ma intensa, carriera.
Come se non bastasse, a celebrare il grande talento dello stilista londinese ci pensa anche il regista Andrew Haigh che, con uno script del drammaturgo Chris Urch, è pronto a realizzare un biopic basato sulla vita di McQueen, dalle sue origini umili agli studi, per poi passare ai primi approcci con il mondo della moda fino alla consacrazione a stilista di successo.

Figlio di un tassista e di un’insegnante, Alexander McQueen lasciò all’età di 16 anni gli studi per dedicarsi al mondo del lavoro. Appena ventenne si trasferì a Milano dove lavorò per Romeo Gigli, tornato a Londra nel 1992 completò la sua formazione presso la Saint Martin’s School of Art e lanciò la sua prima linea di moda. Quattro anni dopo prese il posto di John Galliano come capo disegnatore di Givenchy, ruolo che ricoprì fino al 2001 quando -lasciata la maison Givenchy- lanciò il marchio che porta il suo nome.
Lo stilista si fece notare per le sue creazioni dal sapore gotico, trasgressive e provocatorie, che gli procurarono l’appellativo di hooligan.
Nel corso della sua carriera ha ricevuto diversi riconoscimenti tra cui stilista inglese dell’anno, per ben quattro volte, e stilista dell’anno dal consiglio Fashion Designer Awards nel 2003.
Nonostante la sfavillante carriera, lo stilista soffriva di una forte depressione -motivo delle sue creazioni provocatorie- che lo portò alla morte nel 2010.